La Sampdoria con filosofia, la filosofia con la Sampdoria

a cura di Fabio Patrone

Andrea Pirlo, all’indomani dopo il pareggio della partita contro il Brescia, ha dichiarato: «Inutile parlare di quello che poteva essere». Un chiaro riferimento, questo, alla vittoria sfuggita nei minuti di recupero, all’ennesima occasione persa o, per meglio dire, sprecata. Il dato ha dell’incredibile: la Samp ha perso 18 punti da situazioni di vantaggio (dato Secolo XIX), che equivalgono a poco meno del 60% sui punti attualmente conquistati. Ma davvero non dobbiamo parlare di quello che poteva essere? Chiaramente, come spesso accade in situazioni disastrose come la nostra, il primo pensiero (riferibile) che viene alla mente guardando la classifica non può che essere uno a scelta tra i seguenti: “Pensa quanti punti avremmo se non fossimo falcidiati dagli infortuni!”, “se non avessimo buttato via tutte queste partite potremmo benissimo essere in piena zona playoff”, “se il caciottaro si levasse finalmente dai piedi e potessimo fare mercato…”,  e così via, su questo tenore.

Certo che, pragmaticamente, è inutile pensare a come “avrebbe potuto essere se…”, parafrasando Pirlo: i punti in classifica e le delusioni rimangono le stesse. Ma è altrettanto vero che le cose del mondo, e le squadre di calcio non fanno eccezione, non sono definite soltanto ma da quello che sono, ma anche da quello che potrebbero essere o non potrebbero essere. Come dice Heidegger, siamo proprio perché potremmo non essere. Questa situazione ci fa ammattire proprio perché ci rendiamo conto che, nella nostra pochezza tecnica e nella rivedibile gestione societaria, basterebbe poco, pochissimo, per galleggiare senza annaspare. In una delle partite più pallidamente senz’anima giocate quest’anno, come quella contro la Cremonese, nella quale avremmo potuto tranquillamente perdere con un passivo di quattro gol (questo ha espresso il campo, inutile girarci attorno), negli ultimi minuti Barreca ha avuto due nitide occasioni addirittura per pareggiare! Immeritatamente, ça va sans dire. Eppure, questa flebile possibilità di essere migliori di quello che siamo, è ciò che, personalmente, mi angoscia, ancor più degli obbrobri tecnici e tattici che vediamo, ahinoi, da settimane.

Proprio la possibilità, suggerisce Sören Kierkegaard, rappresenta il carattere fondamentale della nostra vita. Solo una delle infinite possibilità diventa reale, le altre svaniscono, si annullano. Ci lasciamo alle spalle tutti i punti che abbiamo perso, le partite che abbiamo buttato via, i gol sbagliati e gli errori nelle coperture difensive. Alla prima giornata avevamo di fronte a noi 144 punti. Ogni partita che abbiamo perso e ogni gol che non abbiamo festeggiato sgretolando, inesorabilmente il futuro di questo campionato. La possibilità ci schiaccia, proprio perché, a fronte di una «possibilità che sì», ci sono infinite «possibilità che non». E questo, per Kierkegaard, ci porta in una condizione di radicale dubbio, incertezza e instabilità che il filosofo danese chiama “angoscia”. Se non fossi certo che è nato a Copenaghen nel 1813, avrei pochi dubbi che Kierkegaard nello scrivere il suo capolavoro “Aut aut” un passo a Bogliasco ultimamente possa averlo fatto…

Come reagire a questa angoscia che è al contempo radicata nel futuro e tormentata dal passato? Lascerei perdere la via d’uscita di Kierkegaard: non ce li vedo i sampdoriani a sublimare questo smarrimento esistenziale nel «rapporto assoluto con l’assoluto», trovando conforto in altro che non siano il bianco, il rosso e il nero cerchiati di blu. Forse la soluzione è proprio l’opposto dell’idea portata avanti da Pirlo: pensiamo a quello che potrebbe essere, facciamoci forza della possibilità invece che farci schiacciare. Non pensiamo ai punti buttati via, ma a quelli ancora da conquistare; non allo stop sbagliato ma al prossimo. Ambiamo a qualcosa di più di questa miseria, vi prego. Siamo sampdoriani, ce lo meritiamo. Anche a costo di passare ancora qualche mese angoscioso.